James Sully ebbe il merito di aver fondato uno dei primi laboratori di psicologia sperimentale. Già nel 1884, Sully scrisse che “il desiderio” che precede e determina un atto comportamentale può essere inteso come “la sua forza motrice”, il suo motivo.
Per arrivare al concetto di “drive” (pulsione), come fattore motivante, dobbiamo attendere la prima metà del 1900 ed il fondamentale contributo dello psicologo americano Edward Tolmann, noto anche come uno dei primi precursori del cognitivismo.
Il termine pulsione comunque era già stato utilizzato qualche anno prima da Woodwotrh, ad indicare l’energia fisica che mette in moto un determinato modulo motorio.
Processi motivazionali: la tendenza a compiere una determinata azione comportamentale
Da cosa deriva la tendenza di un animale a compiere una determinata azione comportamentale, in un determinato momento? Di fatto questa spinta ad agire, questa motivazione, è collegata sia alle componenti fisiologiche endogene sia alle variazioni degli stimoli ambientali.
Ad esempio, quando parliamo di “comportamento finalistico”, facciamo riferimento al perseguimento da parte dell’animale di un fine (come l’alimentazione, la difesa del territorio, etc).
Gerarchia di motivazioni
Nell’ambito delle motivazioni si può osservare una priorità collegata al loro soddisfacimento, nella quale il diverso concorso delle componenti endogene o esogene determina la natura prevalentemente involontaria o volontaria dei comportamenti ad essi associati.
Gli animali omeotermi sono dotati di meccanismi di termoregolazione che consentono di mantenere costante la temperatura corporea. Questo avviene mediante la produzione di calore metabolico interno (es mammiferi e uccelli, detti anche animali endotermi).
In essi, il ruolo dei segnali interni nella regolazione della respirazione è prevalente sull’ambiente, mentre gli stimoli esterni hanno un ruolo rilevante nella regolazione della temperatura corporea.

Con le indagini sul comportamento alimentare ha avuto inizio lo studio dei processi motivazionali. Per questo motivo, la terminologia che utilizziamo per descrivere le fasi di qualsiasi comportamento che denoti un finalismo comportamentale deriva da queste indagini. Essa descrive, infatti, una fase:
- appetitiva (schemi motori di ricerca dell’obiettivo)
- consumatoria (atti di compimento, si realizza il comportamento con azioni coordinate e spesso stereotipate)
- refrattaria o di arresto (animale tona allo stato di quiete ed è insensibile all’esposizione dello stesso stimolo)
Nei cani con sindrome di ipersensibilità-iperattività, la sequenza comportamentale è distorta per la mancanza o scarso sviluppo della fase refrattaria.
Processi motivazionali: facciamo un esempio
in presenza dello stimolo della fame la fase appetitiva si esplica nella ricerca del cibo mentre la fase consumatoria fa riferimento non tanto all’atto di mangiare il cibo quanto al fatto che, attraverso questo cibo, si “consuma” la motivazione (fame). Segue poi la fase di arresto ed in questo caso il cane, ormai sazio, non risponderà più allo stesso stimolo.
Quindi la motivazione quale tendenza di un animale ad essere attivo in modo selettivo in un determinato momento verso una determinata attività, si esprime attraverso specifici schemi comportamentali funzionalmente collegati fra di loro.