Eliminare i comportamenti indesiderati è forse una delle più importanti, oltre che difficili, questioni di modifica del comportamento.
Come istruttore, come tecnico del comportamento, come psicologa ricevo quotidianamente richieste di aiuto per correggere piccoli e grandi problemi legati al comportamento di cani, bambini e adulti.
Sono sempre stata appassionata di tutto ciò che riguarda il comportamento, sia umano che animale. Dopo aver studiato pedagogia e psicologia, ho dedicato gli ultimi anni della mia vita allo studio del comportamento deviante studiando criminologia. Il tema dell’uso della pena è un tema trasversale, centrale in tutto il mio percorso formativo e professionale.
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Sono un’ottimista e quindi nel mio lavoro è più facile per me concentrarmi sulla costruzione di comportamenti alternativi desiderati piuttosto che su comportamenti problematici da diminuire in frequenza. Questo non significa che reputo che la punizione non funzioni, ma significa che nel mio approccio all’addestramento cerco di usarla il meno possibile.
Anche mentre insegno ai futuri istruttori o conduttori cinofili amo insegnare il valore del feedback positivo: quando uno studente ha completato un esercizio, il gruppo classe deve fornire un feedback sia sul comportamento da rinforzare (qualcosa di positivo fatto dallo studente) che sul comportamento da eliminare (un errore o un’imprecisione). Inizierò quindi questa discussione partendo non dall’addestramento degli animali, ma dalla fallacia della punizione nella prevenzione della recidiva per poi passare a temi più vicini a noi.
La funzione e la trasformazione della punizione nella società umana
Sebbene la punizione sia di per sé ingiustificabile, è sempre stata utilizzata e l’uomo si è sempre interrogato sui perché.

In tempi antichi la privazione della libertà veniva considerato un mezzo per impedire la fuga dell’accusato, era un mezzo di custodia ma non era la punizione per aver infranto la legge. Prima del XVIII e XIX secolo vi erano altri metodi punitivi che vedremo tra poco. E’ a partire dal XIX secolo che si afferma la pura e semplice privazione della libertà come punizione ed essa si diffonderà a tal punto da sostituire tutti gli altri strumenti punitivi.
E’ importante ricordare questa trasformazione perché segna di fatto un passaggio fondamentale nella funzione della punizione nella società umana: il passaggio tra la punizione rivolta al corpo del condannato alla punizione rivolta alla sua anima. Il carcere infatti permette non soltanto il controllo del corpo del condannato ma anche il controllo della sua anima, segnando di fatto il passaggio da una pena meramente punitiva ad una pena correttiva-educativa.
Ma l’imprigionamento e la punizione si sono rivelati un fallimento per gli obiettivi di rieducazione, di prevenzione individuale e generale che si proponeva di raggiungere. I reati continuano ad essere commessi nonostante l’aumento della severità della pena.
Questo rende fin troppo evidente non solo che l’azione è spesso indipendente dalla minaccia o dalla severità della pena stessa, ma anche che ciò che spinge a non commettere un reato non è la minaccia della punizione ma piuttosto l’assimilazione di valori.
La soluzione del problema non è facile, e non è questa la sede per andare a riflettere su come fermare il crimine. L’obiettivo era quello di evidenziare il fallimento della punizione nel sistema carcerario.
Nella prossima parte entreremo nel dettaglio della definizione di punizione all’interno della modifica comportamentale.